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mercoledì 30 marzo 2011

Thomas Dutronc - J'aime plus Paris




Je fais le plein d'essence,
Je pense aux vacances,
Je fais la gueule,
Et je suis pas le seul

le ciel est gris,
les gens aigris
je suis pressé
je suis stressé

j'aime plus paris
on court partout ca m'ennuie
je vois trop de gens,
je me fous de leur vie
j'ai pas le temps,
je suis si bien dans mon lit

prépare une arche
delanoë
tu vois bien,
qu'on veut se barrer
même plaqué or, paris est mort
il est 5 hors, paris s'endort

je sens qu'j'étouffe
je manque de souffle
je suis tout pale
sur un petit pouf

j'aime plus paris,
non mais on se prend pour qui,
jveux voir personne,
coupez mon téléphone
vivre comme les nones,
jparle pas de john

j'aime plus paris

passé le périph,
les pauvres r
n'ont pas le bon gout
d'etre millionaire

pour ces parias,
la ville lumière
c'est tout au bout,
du RER
y a plus de titi
mais des minets

paris sous cloche
ca me gavroche
il est finit, le paris d'Audiard
Mais aujourd'hui, voir celui d'édiar

j'aime plus paris,
non mais on se prend pour qui,
je vois trop de gens
je me fous de leur vie
j'ai pas le temps
je suis si bien dans mon lit

j'irais bien, voir la mer
écouter les gens se tairent
j'irais bien boire une bière
faire le tour de la terre

j'aime plus paris,
non mais on se prend pour qui
je vois trop de gens
je me fous de leur vie
j'ai pas le temps
je suis si bien dans mon lit

pourtant paris,
c'est toute ma vie
c'est la plus belle
j'en fais le pari
il n'y a qu'elle
c'est bien l'ennuie

j'aime plus paris..

«Fuori di me»



Alla follia non badate, datemi retta!




Pensate piuttosto ai nuovi ritmi in cui




immergere la vostra vita perduta dietro




l'apparenza delle cose.




Cercate l'immortalità,




l'eterna questione del mare splendente




dentro il sole di giugno che diventa nero




a notte e scompare nelle tenebre.




Io dimenticato relitto di una civiltà




passata sono il solo che piango i defunti




miraggi di un'età morta e ancora




coprendomi di ridicolo scrivo lettere




d'amore a traditi amori di un'epoca trascorsa,




la giovinezza, e ricordo lo studente




che piegava la sua retta immagine




a misurare l'angolo della sua carnale diversità,




a versare nel seno asciutto di una madre




occasionale la solitudine futura dei suoi




giorni tutti uguali.




Lasciatevi andare verso il mare della vita!




Assaporatene la musica sbiadita, e trionfatore sarà




solo il Tempo e il suo nero oltraggio, la Morte!




Mentre io ancora scriverò che il poeta




chiude in stremate parole il suo cervello




mirando il muro in alto della sua stanza




e le poesie scivoleranno via, senza pietà,




e nessun Dio le registra, incarnandosi




per un attimo.




Il ritmo non sa di mirtillo acerbo




e piegarsi sulla bianca pagina di un diario




il meglio dell'ispirazione fa in un fiato




dileguare.




Chiamatemi così: pazzo, deserto testimone




di un deserto da percorrere in una torrida




estate, senza acqua raccolta nella gobba




di un domestico dromedario, e la mia poesia




definitela con crudeltà e livore come lubrica,




oscena, interessata e manigolda consigliera




di sventura o furto di anime giovanili




in cerca di nuove reincarnazioni.




Sappiate però che brucio di gioia, di allegria




feroce dentro la mia casa buia, prigioniero




di calamitose idee, slabbrando la mia merda




in privata visione senza lo scempio




di immagini e talenti altrui.




Sono un genio geniale che la vita spassa da un dolore all'altro,




teatrale,




senza ferite apparenti che non siano d'amore,




piaghe purulente lasciate da una donna




fatale che nessuno conosce.




Slabbro la mia merda in privata visione:




ghirigori collettivi e birbanti.




Muratemi in una galera




con la bibbia e i santi.




Dario Bellezza
(nella foto di Massimo Consoli Dario Bellezza nel 1971)

Certo per me, amico, è tempo




Certo per me, amico, è tempo


di appendere la cetra
in contemplazione

e silenzio.
Il cielo è troppo alto

e vasto

perché risuoni di questi

solitari sospiri.

Tempo è di unire le voci,

di fonderle insieme

e lasciare che la grazia canti

e ci salvi la Bellezza.

Come un tempo cantavano le foreste

tra salmo e salmo

dai maestri cori

e il brillio delle vetrate
e le absidi in fiamme.

E i fiumi battevano le mani

al Suo apparire dalle cupole

lungo i raggi obliqui della sera;

e angeli volavano sulle case

e per le campagne e i deserti

riprendevano a fiorire.

Oppure si udiva fra le pause

scricchiolare la luce nell'orto, quando

pareva che un usignolo cantasse

"Filii et Filiae", a Pasqua.


Da "Nel segno del Tau" di Davide Maria Turoldo

Coprimi, amore, il cielo della bocca

Coprimi, amore, il cielo della bocca
con codesta rapita spuma estrema,
che è gelsomino sapido ed ardente,
germogliato in corallo della roccia.
Amore rendi folle il suo sapore,
il lancinante tuo supremo fiore,
in diadema piegando il suo furore
slabbrato dal garofano mordente.
Oh misurato fluire, amore, oh bel
gorgogliar temperato della neve
in tanto angusta grotta in carne viva,
per rimirar come il tuo fine collo
fa scivolare, amore, grande pioggia
di gelsomini e stelle di saliva!

Rafael Alberti

I Trionfi: "non è bestemmia..."




Non è bestemmia;


è il senso,

l'unico, qui, dove siamo;

qui, dove i lucenti fasci delle arterie

battono contro il tempo,

felici oltre ogni ingiuria

o legge della piccola, sprovveduta cavità

urlante trombe, editti, idioti anatemi.

Gridano e urlano i voli del sangue;

le vene raggrumano il senso d'esistere

provvisori ed eterni;

garofani e gigli,

gigli e garofani;

ritmo ineluttabile, atroce

tra corde di vita.

Tutto si tende,

s'approssima, s'allontana;

alternanza continua,

cieca, folle;

la gioia,

l'infinita gioia d'esistere

si prova e riprova nel nonsenso del sangue.



Ora;

ora è l'attimo, l'istante.

Le nubi si gonfiano,

atroci si feriscono, immense;

s'erigono oltre i profili del mondo;

si scatena la pioggia,

infinita protesta di madri,
disperati sensi, figli, fiori
tra carni,
tu,

io,

sempre

la pioggia, il vento

il calore del fuoco in corsa

nei grembi di garofani e gigli.

L'eterno si libera a trionfo

nell'arco enorme di vita.

Urla, sì:

vita!

Impeti, sangue,

spermi,

catastrofi,

abissi…

Ora., sì;

ora tu sei

ed io!

. . . . . . . .

. . . . . . . .

poi, nell'immane silenzio,
nella grande, infinita stanchezza dei corpi;

nella calda, dorata brina del sangue che si scioglie;

nel lamento dell'umana fatica;

nella luce inconsulta del tutto,

nel nulla…

Fetonte è morto.

Grida con me:

Fetonte è morto..

Ora la terra può aprire

la sua tomba d'editti, anatemi e rovine.

Grida con me, nel silenzio.

Guarda:

ora può.

Noi, qui, abbiamo perduto

e vinto.


Da I Trionfi (1965) di Giovanni Testori

lunedì 28 marzo 2011

Lettera da Pavia alla Madre


Honoranda madre, la pace di Cristo sia con voi. Io so che voi vi meravigliate che non vi ho scritto da molti giorni. Ma questo non ho fatto perché mi abbia dimenticato di voi; bensì per mancanza di messi: non me n'è occorso nessuno in questo tempo, che sia venuto a Ferrara da Brescia... Andando io a Genova, mi disse che, quando fossi a Pavia, avrei avuto messi ogni giorno, e che da Pavia vi scriverei. Sicché essendo io mandato per obbedienza a predicare questa quaresima a Genova, ed essendo giunto a Pavia, secondo che avevo disposto vi scrivo, notificandovi che io sto bene, e sono contento quanto alla mente e sano quanto al corpo, benché sia stanco del cammino; ed ho ancora lunga via insino a Genova.
 Altro non so che notificarvi se non che da voi... non ho avuto lettera niuna da poi che non vi vidi, né avvisazione di fatti vostri...; ma ne immagino bene che voi siete in tribolazione; onde io priego, quanto può la mia fragilità, continuamente Iddio per voi. Altro non so che fare: se altrimenti vi potessi aiutare, vi aiuterei. Ma una volta essendo io libero, mi son fatto servo per amore di Gesù, il quale per mio amore si fece uomo e prese forma di servo, per farmi libero poi in tutta la gloria della libertà dei figli di Dio. E però studio quanto io posso di servire a lui, e per nessun aggetto terreno  e carnale cercherò di sottrarmi alle fatiche, lavorando volentieri nella sua vigna in diverse città; acciocchè io salvi non solamente l'anima mia, ma anche quella degli altri; temendo inoltre grandemente il suo giudizio, se non facessi a questo modo. perché, se lui m'ha dato il talento, bisogna che io lo spenda in quel modo che a lui piace. Cosicché, madre mia dilettissima, non vi deve essere gravoso se mi allontano da voi, e se  io vado in diverse città discorrendo. Perché tutto questo lo faccio per la salute di molte anime, predicando, esortando, confessando, insegnando e consigliando. E non vado mai da loco a loco se non per questo fine, per il quale anche mi mandano sempre i miei prelati. E però piuttosto vi dovete confortare che Dio si sia degnato di eleggere uno dei vostri frutti e porlo a tanto ufficio.
 Se io stessi a Ferrara continuamente, credetemi che non faria tanto frutto quanto faccio di fuori, sia perché nessun religioso, o pochissimi, fanno mai frutto di santa vita nella patria propria..., sia perché non è data tanta fede a uno della patria, quanto a un forestiero, e nella predicazione e nei consigli. E però dice il nostro Salvatore che no è profeta accetto nella patria sua. Cosicché ancora lui non fu accetto nella sua patria.
 Dal momento dunque, che Dio s'è degnato di eleggere me, dai miei peccati, a tanto ufficio, di cui lo ringrazio infinite volte, state contenta, che io stia nella vigna di Cristo, fuori della patria mia dove io so che senza comparazione faccio maggior frutto all'anima mia e a quella degli altri, di quella che farei a Ferrara. Nella quale, se io stessi e volessi fare quello che io faccio nelle altre città io se che mi sarebbe detto quel che era detto dai compatrioti di Cristo...: Non è costui fabbro e figliuolo di un fabbro e figliuolo di Maria? E non si degnavano di udirlo. Così diranno di me: Non è costui quel maestro Hieronimo che feceva li tali e tali peccati, che era come noi? or sappiamo bene chi è costui. E non udranno devotamente le mie parole. Onde a Ferrara molte volte m'è stata detto da alcuni che mi vedono in tale esercizio di città in città, che i nostri frati devono aver bisogno di uomini. Come dicessero: Se in tante cose esercitano te, che sei vile, certa cose è che hanno bisogno di uomini. Ma fuori della patria mia non m'è detto tali parole. Anzi, quando io voglio partire, piangono uomini e donne, ed apprezzano grandemente le mie parole. Non scrivo questo perché mi diletti di lodi, ma per dimostrarvi quale sial il mio fine in questo mio stare fuori della mia patria; e sappiate che io lì sto volentieri; perché io so che io faccio cosa più grata a Dio e salutifera a me e alle anime... E però, madre mia, non vi dolete di questo, perché quanto più diventerò gradito a Dio, tanto più le mie orazioni per voi avranno valore presso di lui.
    Né vi crediate essere da lui abbandonata per la tribolazione; anzi, forse per questa via vi vuole salvare con i vostri figliuoli, e vuole esaudire le mie orazioni, nelle quali io non prego che vi dia della roba, ma che vi dia della sua grazia...  Io credeva di scrivere poche parole, ma l'amore m'ha fatto trascorrere la penna ed ho aperto a voi il mio cuore più che io non aveva pensato di fare... Oggi, poi che avrò mangiato, piglierò il cammino verso Genova. Pregate Dio che mi conduca salvo e che mi faccia far gran frutto in quel popolo.
Scritta da Pavia, in fretta, il dì della Conversione di san Paolo Apostolo 1490
Vostro figluolo Frate Hieronimo Savonarola

Assassinio nella cattedrale

Chiarite l'aria!
 pulite il cielo!
 lavate il vento!
 separate pietra da pietra
 e lavatele.
La terra è sozza,
 l'acqua è sozza,
 le nostre bestie
 e noi stesse
 insozzate di sangue.
Una pioggia di sangue
 m'ha accecato gli occhi.
 Dov'è l'Inghilterra?
 dov'è il Kent?
 dov'è Canterburgo?
Oh lontano lontano
 nel passato;
 ed io
 vado vagando in una landa di sterpi sterili:
 se li spezzo
 sanguinano;
 io vado vagando in una landa di aridi sassi:
 se li tocco
 sanguinano.
Come
 come posso mai tornare
 alle soavi
 stagioni tranquille?
Notte, resta con noi,
 fermati sole,
 trattienti stagione;
 non venga il giorno,
 non venga la primavera.
Posso ancora guardare il giorno
 e le sue cose solite,
 e vederle
 tutte imbrattate di sangue,
 attraverso una cortina di sangue che cade?
Noi non volevamo che accadesse nulla.
Noi capivamo
 la catastrofe privata,
La perdita personale,
 la miseria generale,
Vivendo
 e in parte vivendo;
Il terrore della notte
 che termina nell'azione del giorno,
Il terrore del giorno
  che termina nel sonno;
Ma chiacchierare
 sulla piazza del mercato,
 con la mano sulla scopa,
Ammucchiare le ceneri
 al cadere della sera,
Porre l'esca sul fuoco
 allo spuntar del giorno,
Questi gli atti
 che segnavano un limite al nostro soffrire.
Ogni orrore aveva la sua definizione,
Ogni dolore aveva
 una specie di fine:
Nella vita non c'è tempo
 d'affannarsi a lungo.
Ma questo,
 questo è fuori della vita,
 questo è fuori del tempo,
Un'imminente eternità
 di male e d'ingiustizia.
Noi siamo sporche
 d'una sozzura che non possiamo detergere,
 mischiata col verme soprannaturale,
Non siamo noi sole,
 non la sola casa,
 non la città ch'è insozzata,
Ma il mondo che è tutto sozzo.
Chiarite l'aria!
 pulite il cielo!
 lavate il vento!
 separate pietra da pietra,
 separate la pelle dal braccio,
 separate il muscolo dall'osso,
 e lavateli.
 Lavate la pietra,
 lavate l'osso,
 lavate il cervello,
 lavate l'anima,
 lavateli, lavateli!

da Assassinio nella cattedrale di T.S.Eliot

IL VIOLINISTA JONES

La terra emana una vibrazione
là nel tuo cuore, e quello sei tu.
E se la gente scopre che sai suonare,
ebbene, suonare ti tocca per tutta la vita.
Che cosa vedi, un raccolto di trifoglio?
O un prato da attraversare per arrivare al fiume?
Il vento è nel granturco; tuti freghi le mani
per i buoi ora pronti per il mercato;
oppure senti il fruscio delle gonne.
Come le ragazze quando ballano nel Boschetto.
Per Cooney Potter una colonna di polvere
o un vortice di foglie significavano disastrosa siccità;
Per me somigliavano a Sammy Testarossa
che danzava al motivo di Toor-a-Loor.
Come potevo coltivare i miei quaranta acri
per non parlare di acquistarne altri,
con una ridda di corni, fagotti e ottavini
agitata nella mia testa da corvi e pettirossi
e il cigolìo di un mulino a vento - solo questo?
E io non iniziai mai ad arare in vita mia
senza che qualcuno si fermasse per strada
e mi portasse via per un ballo o un picnic.
Finii con quaranta acri;
finii con una viola rotta -
e una risata spezzata, e mille ricordi,
e nemmeno un rimpianto.



Dall' "Antologia di Spoon River"
di Edgar Lee Masters - Traduzione a cura di Fernanda Pivano

LA COLLINA

Dove sono Elmer, Herman, Bert, Tom e Charley,
l'abulico, l'atletico, il buffone, l'ubriacone, il rissoso?
Tutti, tutti, dormono sulla collina.
Uno trapassò in una febbre,
uno fu arso in miniera,
uno fu ucciso in rissa,
uno morì in prigione,
uno cadde da un ponte lavorando per i suoi cari -
tutti, tutti dormono, dormono, dormono sulla collina.

Dove sono Ella, Kate, Mag, Edith e Lizzie,
la tenera, la semplice, la vociona, l'orgogliosa, la felicie?
Tutte, tutte, dormono sulla collina.

Una morì di un parto illecito,
una di amore contrastato,
una sotto le mani di un bruto in un bordello,
una di orgoglio spezzato, mentre anelava al suo ideale,
una inseguendo la vita, lontano, in Londra e Parigi,
ma fu riportata nel piccolo spazio con Ella, con Kate, con Mag -
tutt, tutte dormono, dormono, dormono sulla collina.

Dove sono zio Isaac e la zia Emily,
e il vecchio Towny Kincaid e Sevigne Houghton,
e il maggiore Walker che aveva conosciuto
uomini venerabili della Rivoluzione? *
Tutti, tutti, dormono sulla collina.

Li riportarono, figlioli morti, dalla guerra,
e figlie infrante dalla vita,
e i loro bimbi orfani, piangenti -
tutti, tutti dormono, dormono, dormono sulla collina.

Dov'è quel vecchio suonatore Jones
che giocò con la vita per tutti i novant'anni,
fronteggiando il nevischio a petto nudo,
bevendo, facendo chiasso, non pensando né a moglie né a parenti,
né al denaro, né all'amore, né al cielo?
Eccolo! Ciancia delle fritture di tanti anni fa,
delle corse di tanti anni fa nel Boschetto di Clary,
di ciò che Abe Lincoln
disse una volta a Springfield.


Dall' "Antologia di Spoon River"
di Edgar Lee Masters - Traduzione a cura di Fernanda Pivano

Rom'art independent festival

Il regolamento per inscrivere le opere al Rom’Art Independent Festival viene così stabilito:
1-    La III Edizione del Rom’Art Independent Festival si svolgerà a Roma dal 10 al 15 maggio 2011;
2-    possono partecipare al Festival, per quel che concerne le sezioni in concorso, opere provenienti da qualsiasi paese europeo ed extraeuropeo;
3-    tutte le opere e relative schede di partecipazione dovranno pervenire entro e non oltre venerdì 15 aprile 2011 al seguente indirizzo:

Associazione Culturale Cinem’Art
c/o Claudio Miani,
Via Duccio di Buoninsegna, 74
00142 – Roma

oppure consegnate a mano presso la sede del Sinergy Art Studio in Via di Porta Labicana, 27 (San Lorenzo) su appuntamento;
4-    non è prevista un’opera di preselezione e tutti i lavori pervenuti in tempo utile verranno iscritti alla III Edizione del Rom’Art Independent Festival;
5-    il Concorso è suddiviso in tre Sezioni:

“Cortometraggi Cinematografici”

saranno ammessi corti cinematografici della durata massima di 20 minuti, realizzati con qualunque supporto e senza vincoli narrativi e stilistici. Una giuria di specialisti del cinema, della critica e studiosi dell’audiovisivo valuteranno il Miglior corto, con la possibilità dell’assegnazione di una menzione speciale a insindacabile giudizio della giuria. Ciascun autore potrà presentare un massimo di tre opere.

“Corti teatrali”

saranno ammessi corti teatrali della durata massima di 20 minuti. Preferenza ad opere inedite, ma potranno essere presentate anche opere edite. Una giuria di specialisti del teatro, della critica e attori valuteranno il Miglior corto, con la possibilità dell’assegnazione di una menzione speciale a insindacabile giudizio della giuria. Ciascun autore potrà presentare un massimo di un’opera.

“Fotografia”

sono previste due sezioni:

•    categoria Colore
•    categoria Bianco e nero

Ogni autore potrà presentare sino a tre opere per ciascuna sezione. Ogni singola fotografia dovrà essere montata su un supporto di cartoncino nero e viene lasciata libera scelta all’autore per quel che concerne la grandezza dell’opera. Verrà premiata la migliore opera di ciascuna sezione.

6-    per quel che concerne la sezione “Cortometraggi Cinematografici” i partecipanti autorizzano la proiezione del film a titolo gratuito durante il concorso. Per quel che concerne la sezione “Corti teatrali” gli autori garantiscono l’originalità del testo.
7-    Le giurie, composte da esperti di settore, assegneranno i seguenti Premi:

o    Miglior Cortometraggio cinematografico – verrà assegnata una targa premio ed una card gratuita per partecipare ad uno dei Corsi organizzati dal Sinergy Art Studio;
o    Miglior cortometraggio teatrale – verrà assegnata una targa premio e una card gratuita per partecipare ad uno dei Corsi organizzati dal Sinergy Art Studio;
o    Miglior fotografia a colori – verrà assegnata una targa premio e la possibilità di usufruire gratuitamente dello spazio espositivo del Sinergy Art Studio;
o    Miglior trittico fotografico in b/n – verrà assegnata una targa premio e la possibilità di usufruire gratuitamente dello spazio espositivo del Sinergy Art Studio;

Inoltre sarà assegnato il Premio Alda Merini:

all’opera, indifferentemente dalla categoria, di maggior contenuto sociale.

8-    la consegna dei premi avrà luogo durante la serata conclusiva della manifestazione domenica 15 maggio 2011 alle ore 18:00, aperta al pubblico, e alla quale saranno invitati rappresentanti del mondo del cinema, del teatro e dell’informazione pubblica;
9-    lo svolgersi della kermesse avverrà secondo il programma stabilito dalla Direzione del Concorso, le cui decisioni sono inappellabili. Il calendario definitivo verrà pubblicato sul sito www.sinergyart.it e sulla rivista online Cinem’Art;
10-    tutte le opere presentate saranno trattenute ai fini di archivio culturale e per eventuali attività collaterali;
11-    per ciascuna opera presentata nelle categorie del Concorso è prevista una quota di partecipazione pari ad Euro 10,00 ad unico titolo di copertura delle spese di gestione, che dovrà essere corrisposta al momento dell’invio del materiale;
12-    la quota di partecipazione potrà essere corrisposta in denaro, o mediante versamento su postepay intestato a:

Claudio Miani
Postepay n. 4023 6005 6788 2370

13-     la scheda di partecipazione scaricabile dal sito www.sinergyart.it, debitamente compilata in stampatello, dovrà essere spedita in formato cartaceo all’interno del plico contenente il materiale necessario di seguito elencato per le differenti categorie:

“Cortometraggi Cinematografici”

•    cd rom contenente:
i.    tre fotografie del film;
ii.    due fotografie del regista;
iii.    sinossi dell’opera max 5 righe;
iv.    breve curriculum vitae e filmografia del regista;
v.    scheda tecnica dell’opera;
vi.    autocertificazione di originalità del testo;
•    dvd contenente l’opera;
•    quota di partecipazione in contanti o copia del versamento;

“Corti teatrali”

•    cd rom contenente:
i.    due fotografie del regista;
ii.    testo della pièce;
iii.    sinossi dell’opera max 5 righe;
iv.    breve curriculum vitae e filmografia dell’autore;
v.    scheda tecnica dell’opera;
vi.    autocertificazione di originalità del testo;
•    laddove disponibile dvd dello spettacolo;
•    quota di partecipazione in contanti o copia del versamento;

“Fotografia”

•    cd rom contenente:
i.    la fotografia in concorso;
ii.    due fotografie dell’autore;
iii.    una cartella che possa esemplificare l’opera presentata;
iv.    breve curriculum vitae ed eventuali esposizioni dell’artista;
v.    scheda tecnica dell’opera;
vi.    autocertificazione di originalità del lavoro;
•    la fotografia in formato cartaceo montate su cartoncino nero;
•    quota di partecipazione in contanti o copia del versamento;

14-    i materiali (che non verranno restituiti) saranno utilizzati per la pubblicazione gratuita sulla rivista on line Cinem’Art, nei siti di riferimento, in ogni altra opera del Concorso (anche in edizioni successive) e per gli organi di informazione in relazione alle attività del Sinergy Art Studio e dell’Associazione Culturale Cinem’Art;
15-    non sono previste ulteriori quote di partecipazione;
16-    le decisioni della Giuria sono insindacabili;
17-    la Direzione, pur impegnandosi ad avere cura del materiale ricevuto affidandolo a persone competenti, declina ogni responsabilità in caso di perdita o incidenti e/o danneggiamento durante il trasporto e inoltre non si assume responsabilità alcuna per eventuali furti o smarrimenti durante il corso del Concorso;
18-    la Direzione del Festival si impegna nella divulgazione dell’evento mediante i propri organi informativi garantendo in tal modo la visibilità per ogni artista iscritto al Rom’Art Independent Festival;
19-     i dati personali saranno trattati nel rispetto dei diritti sulla riservatezza e dell’identità personale (legge sulla privacy 675 del 31/12/96 e successive modifiche o integrazioni);
20-    per ogni eventuale controversia è competente il Foro di Roma.

Passione drammaturgia

“PASSIONE DRAMMATURGIA” è un premio dedicato alla promozione dell’arte teatrale Esso è organizzato dal Magazine on-line www.passioneteatro.com  con il patrocinio morale del Teatro Helios di Bordighera (IM).
Il concorso è totalmente gratuito, con lo scopo di offrire la possibilità agli autori meritevoli di avere un’adeguata visibilità.
Le opere prime classificate saranno pubblicate sul sito e messe a disposizione delle compagnie di teatro, amatoriale e non.
L’elaborato può appartenere a qualsiasi genere (dramma, commedia, satira, etc…), e deve essere originale, mai messo in scena, da inviare in allegato in documento formato Word all’indirizzo:
redazione@passioneteatro.com entro il giorno 15 ottobre 2011. La partecipazione è gratuita.
Verrà data conferma del ricevimento tramite e-mail.
Nella mail di accompagnamento indicare i dati personali, l’indirizzo e la seguente dichiarazione:
Dichiaro che l’opera da me presentata è di mia creazione personale, inedita non premiata o segnalata in altri concorsi, mai messa in scena. Autorizzo il trattamento dei miei dati personali ai sensi della disciplina generale di tutela della privacy (L. n. 675/1996; D. Lgs. n. 196/2003).
RACCOMANDAZIONE IMPORTANTE:
Se non ricevete l'e-mail di conferma della ricevuta dell’opera entro qualche giorno dall'invio, rinviate nuovamente allo stesso indirizzo.
PREMI
Primo premio:
- Pubblicazione dell’elaborato e biografia del vincitore sul sito: www.passioneteatro.com
- Diploma di merito e due libri (romanzi o altro).
Secondo premio:
- Pubblicazione dell’elaborato e biografia sul sito.
- Diploma di merito e un libro (romanzo o altro).
Terzo premio:
- Pubblicazione dell’elaborato e biografia sul sito.
- Diploma di merito e un libro (romanzo o altro).
Il giudizio della giuria è insindacabile. La giuria è composta dalla redazione di PASSIONE TEATRO MAGAZINE e dal TEATRO HELIOS DI BORDIGHERA (IM).
L’autore è pregato di fornire il proprio indirizzo di residenza, per la spedizione dei premi.
I premi saranno spediti tramite posta ai relativi vincitori, una volta pubblicata la classifica finale.
Informazioni: redazione@passioneteatro.com www.passioneteatro.com

Riccione per il teatro

Il presente Bando di concorso disciplina la 51ª edizione del Premio Riccione per il Teatro, promosso dall’Associazione Riccione Teatro con il sostegno di: Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Regione Emilia-Romagna, Provincia di Rimini, Comune di Riccione.

ART. 1 - FINALITÀ E RICONOSCIMENTI
Il Premio Riccione per il Teatro viene attribuito a cadenza biennale all’autore di un’opera originale
in lingua italiana o in dialetto, mai rappresentata in pubblico, come contributo allo sviluppo e alla
valorizzazione della drammaturgia contemporanea.
Per sostenere la creatività giovanile, il concorso assegna inoltre il Premio Riccione “Pier Vittorio
Tondelli”, riconoscimento speciale riservato ai partecipanti “under-30”. Il riconoscimento è attribuito
al testo più interessante tra quelli presentati da autori nati dopo il 31 dicembre 1980.

ART. 2 - OPERE AMMESSE
Il Premio è aperto a tutte le forme e le possibilità della scrittura per la scena. Opere tradotte
da altre lingue, adattamenti e trasposizioni da testi narrativi o drammaturgici sono ammessi solo
se capaci di distinguersi per capacità di sperimentazione e autonomia creativa. La partecipazione
al Premio è aperta anche agli autori che abbiano già conseguito il premio in precedenti edizioni.

ART. 3 - CAUSE DI ESCLUSIONE
a) Le opere dialettali devono essere accompagnate da traduzione italiana a fronte o da una
versione semplificata del testo dialettale in lingua italiana, pena l’esclusione dal concorso.
b) Traduzioni, adattamenti e trasposizioni da testi narrativi devono indicare chiaramente la fonte del
testo riportando nel frontespizio: titolo dell’opera originaria; autore; anno di prima pubblicazione/
rappresentazione. La mancanza di una di queste indicazioni comporta l’esclusione automatica dal
concorso.
c) Restano escluse dalla selezione le opere già inviate dagli autori a precedenti edizioni del
Premio o che abbiano conseguito premi e menzioni in altri concorsi; qualora, successivamente
all’iscrizione, il testo consegua premi in altri concorsi, l’autore si impegna a comunicarlo
immediatamente alla segreteria di Riccione Teatro.
d) Non verrà accettato più di un testo da parte di ciascun concorrente.
e) Non sono ammessi testi anonimi ovvero sotto pseudonimo.

ART. 4 - GIURIA
La Giuria del Premio è formata da 9 (nove) componenti scelti fra le personalità del mondo teatrale
e culturale. La Giuria del 51° Premio Riccione per il Teatro è composta da: Umberto Orsini (presidente),
Sonia Bergamasco, Franco Cordelli, Elio De Capitani, Alessandro Gassman, Fabrizio
Gifuni, Claudio Longhi, Fausto Paravidino, Isabella Ragonese.
La Giuria si avvale della collaborazione di una Commissione di selezione preliminare, i membri della
quale saranno scelti dal presidente e dai singoli giurati. L’operato della Giuria e della Commissione
di selezione verrà supportato per le pratiche burocratiche e organizzative dalla segreteria operativa
di Riccione Teatro.

ART. 5 - PREMI E CERIMONIA DI CONSEGNA
All’autore del testo vincitore del 51° Premio Riccione per il Teatro sarà assegnato
un premio indivisibile di € 5.000,00 (cinquemila/00); sono dunque esclusi gli ex-aequo.
La Giuria inoltre attribuirà il Premio Riccione “Pier Vittorio Tondelli” di € 3.000,00 (tremila/00), al
testo di un giovane autore nato dopo il 31 dicembre 1980.
La Giuria ha infine facoltà di segnalare, con apposite motivazioni, altre opere ritenute particolarmente
meritevoli.
La cerimonia di premiazione dei vincitori si terrà sabato 17 settembre 2011 presso il Palazzo dei
Congressi di Riccione. Solo i vincitori ed eventualmente i segnalati verranno avvisati dalla segreteria
di Riccione Teatro tramite comunicazione scritta.
Il Premio non può essere ritirato da terzi. L’eventuale assenza del vincitore alla cerimonia di premiazione
comporterà la decadenza dell’assegnazione del premio.

ART. 6 - SOSTEGNO ALLA PRODUZIONE
(PREMIO RICCIONE PER IL TEATRO)
Per concorso alle spese di allestimento del testo vincitore del 51° Premio Riccione per il Teatro, è assegnato
un premio di produzione di € 20.000,00 (ventimila/00) al progetto indicato o proposto dall’autore.
Il progetto di produzione dovrà ottenere l’approvazione di una commissione formata dal presidente della Giuria,
dal presidente di Riccione Teatro e dal direttore di Riccione Teatro, sulla base dei requisiti artistici della
proposta, della sua realizzabilità, delle possibilità di diffusione, al fine di ottenerne la più efficace promozione.
Il progetto di produzione dovrà essere presentato a Riccione Teatro improrogabilmente entro il 30
giugno 2012, pena la decadenza del premio di produzione da conferirsi all’atto della prima rappresentazione
pubblica. Il produttore del testo premiato si impegna a citare il Premio Riccione per il Teatro
nei comunicati e in tutto il materiale di pubblicità e informazione sia a stampa che su altri media,
nulla escluso. Si impegna inoltre a comunicare prima del debutto ogni eventuale e successiva modifica
del progetto inviando tempestivamente e comunque prima del debutto a Riccione Teatro copia
di tutto il materiale a stampa e su altri supporti o formati (siti web ecc.) recante la menzione “testo
vincitore della 51ª edizione del Premio Riccione per il Teatro”, oltre al logo del Premio Riccione.
In accordo con l’autore e nel rispetto della legislazione vigente sul diritto d’autore, Riccione
Teatro provvederà alla massima diffusione dei testi vincitori o segnalati in Italia e all’estero.

ART. 7 - SOSTEGNO ALLA PRODUZIONE
(PREMIO RICCIONE “PIER VITTORIO TONDELLI”)
Si istituisce, a partire dalla 51ª edizione del Premio Riccione per il Teatro, il premio
di produzione di € 7.000,00 (settemila/00) per concorso alle spese di allestimento
e messa in scena del testo vincitore del Premio Riccione “Pier Vittorio Tondelli”,
che sarà assegnato a un progetto indicato o proposto da Riccione Teatro in collaborazione
con ERT Emilia Romagna Teatro Fondazione - Teatro Stabile Pubblico dell’Emilia-Romagna.
Il progetto di produzione dovrà ottenere l’approvazione della Commissione formata dal presidente
della Giuria del Premio Riccione per il Teatro, dal direttore di Riccione Teatro e dal
direttore di ERT sulla base dei requisiti artistici della proposta, della sua effettiva realizzabilità,
delle possibilità di diffusione, al fine di ottenerne la più efficace promozione. ERT Emilia
Romagna Teatro Fondazione - Teatro Stabile Pubblico dell’Emilia-Romagna si impegna
a favorire la rappresentazione e la circuitazione del lavoro vincente sul territorio regionale.
Il progetto di produzione dovrà essere presentato a Riccione Teatro improrogabilmente entro il 30
giugno 2012, pena la decadenza del premio di produzione da conferirsi all’atto della prima rappresentazione
pubblica. Il produttore del testo premiato si impegna a citare il Premio Riccione per
il Teatro nei comunicati e in tutto il materiale di pubblicità e informazione sia a stampa che su
altri media, nulla escluso. Si impegna inoltre a comunicare prima del debutto ogni eventuale e successiva
modifica del progetto inviando tempestivamente e comunque prima del debutto a Riccione
Teatro copia di tutto il materiale a stampa e su altri supporti o formati (siti web ecc.) recante la
menzione “testo vincitore del Premio Riccione Pier Vittorio Tondelli 2011”, oltre al logo del Premio
Riccione. In accordo con l’autore e nel rispetto della legislazione vigente sul diritto d’autore, Riccione
Teatro provvederà alla massima diffusione dei testi vincitori o segnalati in Italia e all’estero.

ART. 8 - QUOTA DI ISCRIZIONE
La partecipazione al concorso prevede il versamento di una quota di iscrizione pari a € 50,00 (cinquanta/00)
a parziale copertura delle spese di segreteria. La quota di iscrizione dovrà essere versata sul c/c postale
n° 60670460 intestato ad Associazione Riccione Teatro con indicazione nella causale del titolo dell’opera.

ART. 9 - SCADENZE
L’edizione 2011 del Premio Riccione per il Teatro è aperta ai testi spediti (o consegnati direttamente)
a Riccione Teatro entro lunedì 2 maggio 2011. Farà fede il timbro postale. I testi inviati dopo
tale data non verranno ammessi al concorso.

ART. 10 - INVIO DEI TESTI
I testi (in dieci esemplari dattiloscritti, numerati e uniti nelle pagine) dovranno essere inviati tramite
pacco/raccomandata a Riccione Teatro, presso il Comune di Riccione, Viale Vittorio Emanuele
II 2, 47838 Riccione (RN), oppure consegnati direttamente presso la sede operativa di
Riccione Teatro: Villa Lodi Fè, Viale delle Magnolie 2, Riccione. Sul pacco/raccomandata dovrà
essere indicata la dicitura: “RICCIONE TEATRO – 51° PREMIO RICCIONE PER IL TEATRO 2011”.
Insieme ai dieci copioni dattiloscritti, andranno inviati anche:
a) copia digitale del testo, su cd-rom, in formato .rtf;
b) ricevuta del pagamento della quota di iscrizione;
c) scheda di partecipazione, debitamente compilata in stampatello in maniera leggibile, e firmata.
La scheda di partecipazione può essere scaricata dal sito www.riccioneteatro.it oppure richiesta alla segreteria del premio.

ART 11 - PRIVACY
I partecipanti con la sottoscrizione della scheda di partecipazione dichiarano di accettare integralmente
le sopradescritte condizioni del bando e autorizzano l’utilizzo dei dati personali ai sensi del
Codice della Privacy (d.lgs. n. 196/2003).
I testi inviati non verranno restituiti: gli autori autorizzano Riccione Teatro a conservare presso i propri archivi
copia del testo inviato ai fini di conservazione, consultazione, conoscenza e studio, senza scopo di lucro.

Premio Hystrio scritture di scena

Il Premio Hystrio si arricchisce di una nuova sezione. Parte infatti dall’edizione 2011 il nuovo concorso Premio Hystrio-Scritture di Scena_35, aperto a tutti i giovani autori entro i 35 anni (l’ultimo anno di nascita considerato valido per l’ammissione è il 1976). Il testo vincitore verrà pubblicato sulla rivista trimestrale Hystrio e sarà rappresentato, in forma di mise en espace, durante la prima delle tre serate della 13a edizione del Premio Hystrio che avrà luogo a Milano nel giugno 2011. La premiazione avverrà nello stesso contesto. La presenza del vincitore è condizione necessaria per la consegna del Premio.

Regolamento e modalità d’iscrizione:
- I testi concorrenti, in lingua italiana, dovranno costituire un lavoro teatrale in prosa di normale durata. Non saranno ammessi al concorso lavori già pubblicati o che abbiano conseguito premi in altri concorsi.
- Se, durante lo svolgimento dell’edizione, un testo concorrente venisse premiato in altro concorso, è obbligo dell’autore partecipante segnalarlo alla segreteria del Premio.
- Se la Giuria del Premio, a suo insindacabile giudizio, non ritenesse alcuno dei lavori concorrenti meritevole del Premio, questo non verrà assegnato.
- La quota d’iscrizione è la sottoscrizione di un abbonamento annuale alla rivista Hystrio (€35) da versare, con causale: Premio Hystrio-Scritture di Scena_35, sul Conto Corrente Postale n. 40692204 intestato a Hystrio-Associazione per la diffusione della cultura teatrale, via De Castillia 8, 20124 Milano; oppure attraverso bonifico bancario sul Conto Corrente Postale n. 000040692204, IBAN IT66Z0760101600000040692204. Le ricevute di pagamento devono essere complete dell’indirizzo postale a cui inviare l’abbonamento annuale alla rivista Hystrio. I lavori dovranno essere inviati a Redazione Hystrio, via Olona 17, 20123 Milano, entro e non oltre il 31 marzo 2011 (farà fede il timbro postale). I lavori non verranno restituiti.
- Le opere dovranno pervenire mediante raccomandata in cinque copie anonime ben leggibili e opportunamente rilegate: in esse non dovrà comparire il nome dell’autore, ma soltanto il titolo dell’opera. All’interno del plico dovrà essere presente, in busta chiusa, una fotocopia di un documento d’identità e un foglio riportante, nell’ordine, nome e cognome dell’autore, titolo dell’opera, indirizzo, recapito telefonico ed email. Non saranno accettate iscrizioni prive di uno o più dei dati richiesti né opere che contengano informazioni differenti da quelle richieste.
- I nomi del vincitore e di eventuali testi degni di segnalazione saranno comunicati ai concorrenti e agli organi di informazione entro il 15 maggio 2011.
- Nel caso che il testo vincitore venga rappresentato a teatro o trasmesso per radio o tv, è fatto obbligo, sul materiale pubblicitario e/o nelle locandine delle rappresentazioni, il riferimento al “Premio Hystrio-Scritture di Scena_35”.
- Con la partecipazione al Premio, i concorrenti si impegnano a rispettare il giudizio della Giuria e le condizioni del presente regolamento.
La giuria sarà composta da: Marco Martinelli (presidente), Fabrizio Caleffi, Claudia Cannella, Renato Gabrielli, Roberto Rizzente, Diego Vincenti, Giorgio Finamore (segretario).

INFO:
Redazione - hystrio@fastwebnet.it   www.hystrio.it, tel. 02.40073256
Giorgio Finamore - hy.finamore@fastwebnet.it   cell. 3391828604

venerdì 25 marzo 2011

Trainspotting

"Scegliete la vita.
Scegliete un lavoro.
Scegliete una carriera.
Scegliete la famiglia.
Scegliete un maxi televisore del cazzo.
Scegliete lavatrici, macchine, lettori cd e apriscatole elettrici.
Scegliete la buona salute, il colesterolo basso e la polizza vita.
Scegliete un mutuo ad interessi fissi, scegliete una prima casa.
Scegliete gli amici.
Scegliete una moda casual e le valigie in tinta.
Scegliete un salotto di tre pezzi a rate e ricopritela con una stoffa del cazzo. Scegliete il faidate e chiedetevi chi cacchio siete la domenica mattina. Scegliete di sedervi sul divano a spappolarvi il cervello e lo spirito con i quiz mentre vi ingozzate di schifezze da mangiare.
Alla fine scegliete di marcire, di tirare le cuoia in uno squallido ospizio, ridotti a motivo d'imbarazzo per gli stronzetti viziati ed egoisti che avete figliato per rimpiazzarvi".

Il Grande Dittatore

"...Sono desolato, ma non voglio essere imperatore, non mi interessa. Non voglio né conquistare, né dirigere nessuno. Nella misura del possibile, voglio aiutare tutti, Ebrei, Cristiani, Pagani, Banchi e Neri. Noi tutti vogliamo aiutarci vicendevolmente. Gli esseri umani sono fatti così. Vogliamo vivere della reciproca felicità, ma non della reciproca infelicità. Non vogliamo odiarci e disprezzarci. Al mondo c'è posto per tutti. E la buona terra è ricca e in grado di provvedere a tutti. La vita può essere libera e bella, ma noi abbiamo smarrito la strada: la cupidigia ha avvelenato l'animo degli uomini, ha chiuso il mondo dietro una barricata di odio, ci ha fatto marciare, col passo dell'oca, verso l'infelicità e lo spargimento di sangue. Abbiamo aumentato la velocità, ma ci siamo chiusi dentro. Le macchine che danno l'abbondanza ci hanno lasciato nel bisogno. La nostra sapienza ci ha resi cinici; l'intelligenza duri e spietati. Pensiamo troppo e sentiamo troppo poco. Più che di macchine abbiamo bisogno di umanità. Più che d'intelligenza abbiamo bisogno di dolcezza e di bontà. Senza queste doti la vita sarà violenta e tutto andrà perduto. L'aereo e la radio ci hanno avvicinati. E' l'intima natura di queste cose a invocare la bontà dell'uomo, a invocare la fratellanza universale, l'unità di tutti noi. Anche ora la mia voce raggiunge milioni di persone in ogni parte del mondo, milioni di uomini, donne e bambini disperati, vittime di un sistema che costringe l'uomo a torturare e imprigionare gli innocenti. A quanti possono udirmi io dico: non disperate. L'infelicità che ci ha colpito non è che un effetto dell'ingordigia umana: l'amarezza di coloro che temono la via del progresso umano. L'odio degli uomini passerà, i dittatori moriranno e il potere che hanno strappato al mondo ritornerà al popolo. E finché gli uomini non saranno morti la libertà non perirà mai. Soldati! Non consegnatevi a questi bruti, che vi disprezzano, che vi riducono in schiavitù, che irreggimentano la vostra vita, vi dicono quello che dovete fare, quello che dovete pensare e sentire! Che vi istruiscono, vi tengono a dieta, vi trattano come bestie e si servono di voi come carne da cannone. Non datevi a questi uomini inumani: uomini-macchine con una macchina al posto del cervello e una macchina al posto del cuore! Voi non siete delle macchine! Non siete degli schiavi! Siete degli uomini! Con in cuore l'amore per l'umanità! Non odiate! Odiate solo ciò che è inumano, ciò che non è fatto d'amore. Soldati! Non combattete per la schiavitù! Battetevi per la libertà! Nel Vangelo di San Luca sta scritto che "il Regno di Dio è nell'uomo": non in un uomo o in un gruppo di uomini ma in tutti gli uomini! In voi! Voi, il popolo, voi che avete il potere, il potere di creare le macchine, il potere di creare la felicità. Voi, il popolo, voi che avete il potere, il potere di rendere questa vita libera e bella, di rendere questa vita una magnifica avventura. E allora, in nome della democrazia, usiamo questo potere, uniamoci tutti. Battiamoci per un mondo nuovo, un mondo buono che dia agli uomini la possibilità di lavorare, che dia alla gioventù un futuro e alla vecchiaia una sicurezza. Promettendo queste cose i bruti sono saliti al potere. Ma essi mentono! Non mantengono questa meravigliosa promessa. Né lo faranno mai! I dittatori liberano se stessi ma riducono il popolo in schiavitù. Allora, battiamoci per realizzare le loro promesse. Battiamoci per liberare il mondo, per abbattere le barriere nazionali e quelle della razza, per eliminare l'ingordigia, l'odio e l'intolleranza. Battiamoci per un mondo ragionevole, un mondo in cui la scienza e il progresso conducano alla felicità di tutti. Soldati uniamoci in nome della democrazia! Hannah, mi senti? Ovunque tu sia, alza gli occhi! Alza gli occhi, Hannah! Le nubi si disperdono! E torna il sole! Usciamo dalle tenebre alla luce! Entriamo in un mondo nuovo, un mondo più buono, dove gli uomini saranno superiori alla loro ingordigia, al loro odio e alla loro brutalità. Alza gli occhi, Hannah! L'anima dell'uomo ha messo le ali e finalmente egli comincia a volare. Vola nell'arcobaleno, nella luce della speranza. Alza gli occhi, Hannah! Alza gli occhi!".

Basic Instinct

"- Quando pensa al modo in cui vorrebbe scoparmi, e io so' che lei lo pensa, com'è che se lo immagina, dottore?
Oh, lo so che non può rispondermi... perciò ci pensi soltanto... vuole farlo in piedi?
Lei sopra di me, io sopra di lei... o vuole invece prendermi da dietro, lei in ginocchio,la mia faccia sul cuscino... non è che vuole picchiarmi un po'?
Solo un po', non troppo forte... o un po' più forte di così... o mi vuole venire in bocca?
E se ora le dicessi che ogni volta che mi masturbo io penso a lei... che ogni volta finisco per godere pensando a lei... che si tocca e viene...
Credo che per oggi sia scaduto il tempo. Voglio concludere la terapia: mi mandi il conto".

Questi Fantasmi

PASQUALE (beatamente seduto fuori al balcone di sinistra, ha disposto, davanti a sè, un'altra sedia con sopra una guantiera una piccola macchinetta da caffè napoletana, una tazzina e un piattino. Mentre attende che il caffè sia pronto parla con dirimpettaio prof. Santanna )
A noialtri napoletani, toglierci questo poco di sfogo fuori al balcone...
Io, per esempio,; a tutto rinuncierei tranne a questa tazzina di caffè, presa tranquillamente qua, fuori al balcone, dopo quell'oretta di sonno che uno si è fatta dopo mangiato.
E me la devo fare io stesso, con mani.
Questa è una macchinetta per quattro tazze, ma se ne possono ricavare pure sei, e se le tazze sono piccole pure otto per gli amici... il caffè costa cosi' caro... (Ascolta, poi)
Mia moglie non mi onora queste cose non le capisce E' molto piu' giovane di me, sapete, e la nuova generazione ha perduto queste abitudini cbe, secondo me, sotto un certo punto di vista sono la poesia della vita; perchè, oltre a farvi occupare il tempo, vi danno pure una certa serenità di spirito.
Neh, scusate Chi mai potrebbe prepararmi un caffè come me lo preparo io, con lo stesso zelo... con la stessa cura Capirete che, dovendo servire me stesso, seguo le vere esperienze e non trascuro niente...
Sul becco... lo vedete il becco? (Prende la macchinetta in mano e indica il becco della caffettiera)
Qua, professore, dove guardate? Questo... (Ascolta)
Vi piace sempre di scherzare.... No, no... scherzate pure...
Sul becco io ci metto questo coppitello di carta... (Lo mostra)
Pare niente, questo coppitello ci ha la sua funzione...
E gia' perchè il fumo denso del primo caffe' che scorre, che poi e il piu carico, non si disperde.
Come pure, professo', prima di colare l'acqua, che bisogna farla bollire per tre o quattro minuti, per lo meno, prima di colarla dicevo, nella parte interna della capsula bucherellata, bisogna cospargervi mezzo cucchiaino di polvere appena macinata piccolo segreto!
In modo che, nel momento della colata qua, in pieno bollore, gia' si aromatizza per conto suo. Professo' voi pure vi divertite qualche volta, perchè, spesso, vi vedo fare al vostro balcone a fare la stessa funzione. (Rimane in ascolto)
E io pure. Anzi, siccome, come vi ho detto, mia moglie non collabora, me lo tosto da me... (Ascolta)
Pure voi, professo' ?.... E fate bene... Perchè, quella, poi, è la cosa piu difficile: indovinare il punto giusto di cottura, il colore... A manto di monaco.....
Color manto di monaco. é una grande soddisfazione ed evito pure di prendermi collera, perchè se, per una dannata combinazione, per una mossa sbagliata, sapete... ve scappa 'a mano o' piezz' 'e coppa, s'aunisce a chello 'e sotto, se mmesca posa e ccafè... insomma, viene una zoza ... siccome l'ho fatto con le mie mani e nun m' 'a pozzo piglia' cu nisciuno, mi convinco che è buono e me lo bevo lo stesso. (II caffè ormai è pronto) Professo', è passato. (Versa il contenuto della macchinetta nella tazza e si dispone a bere)
State servito?... Grazie. (Beve) Caspita, chesto è cafè... (Sentenzia) é ciucculata. Vedete quanto poco ci vuole per rendere felice un uomo: una tazzina presa tranquillamente qui fuori... con un simpatico dirimpettaio... Voi siete simpatico, professo'... (Seguita a bere) mezza tazzina me la conservo, me la bevo tra una sigaretta l'altra. (Accende la sigaretta. al professore che gli avrà rivolto qualche domanda) Come?.... Non ho capito. (Rimane in ascolto)
Aaah... si', si'... Niente, professo'! Io lo dissi: sciocchezze. Non ho mai creduto a questo genere di cose, se no non ci sarei venuto ad abitare. Oramai sono sei mesi che sto qua, qualche cosa avrei dovuto vederla (Ascolta c. s.) E che vi posso dire.... Non metto in dubbio quello che voi mi dite, ma, in questa casa, posso garantirvi che regna la vera tranquillità.
Tutto quello che voi vedete sul terrazzo, sul cornicione, fuori ai balconi... a me non risulta, Si, quello che posso dire è che, da quando sono venuto ad abitare qua, le mie cose si sono aggiustate, che questa casa mi ha portato fortuna, che se avessi richieste di camere, la pensione potrebbe già funzionare, ma fantasmi, come fantasmi, è proprio il caso di dire: neanche l'ombra!

da "Questi Fantasmi" di Eduardo De Filippo

giovedì 24 marzo 2011

ZUOCCOLE, TAMMORRE E FFEMMENE

Tutte hanno scritto a Napule canzone appassiunate,
tutt”e bellezze ‘e Napule so’ state decantate:
da Bovio a Tagliaferri; Di Giacomo a Valente;
in prosa vierze e musica: ma chi po’ ddì cchiù niente?
 
Chi tene cchiù ‘o curaggio ‘e di’ quaccosa
doppo ca sti puete gruosse assaie
d’accordo songo state a ddi’ una cosa:
ca stu paese nun se scorda maje.
 
Sta Napule, riggina d”e ssirene,
ca cchiù ‘a guardammo e cchiù ‘a vulimmo bene.
‘A tengo sana sana dint”e vvene,
‘a porto dint”o core, ch’aggia fa?
 
Napule, si comme ‘o zucchero,
terra d’amore, ch’è na rarità!
Zuoccole, tammorre e femmene,
è ‘o core ‘e Napule ca vo’ cantà.
 
Napule, tu si’ adorabile,
siente stu core che te vo’ di’:
“ Zuoccole, tammorre e ffemmene,
chi è nato a Napule nce vo’ murì “.
 
Antonio De Curtis (Totò)

IDILLIO 'E MMERDA

Nu juorno na cacata sulitaria,
meza annascosta dint' 'a nu sentiero,
c"o sole 'e luglio e c"o profumo 'e Il'aria
s'annammuraie d"o strunzo 'e nu pumpiero.

Essa era tonna, acconcia, piccerella,
isso era niro, gruosso, frisco frisco;
essa era fatta a fforma 'e cuppulella,
isso rassumigliava a n'obelisco.

E, cu Il' intermediario 'e nu muscone
na bella sera tutta prufumata,
'o strunzo avette 'a dichiarazione
d'ammore d"a cacata nnammurata.

Isso era nato sotto mala stella;
ca maje nisciuno l'aveva guardato ...
Vulette bene a chella cacatella
cchiù assaie d"o culo ca l'avea cacato.

Ma stevano luntano; e sulo 'a luna,
e sulo 'e pprete e sulo 'e ffrasche verde
sapevano 'e turmiente, a uno a uno,
'e chilli duie sperdute piezze 'e mmerda.

E na matina, erano verso Il'otto,
nu cato d'acqua 'a copp"a na fenesta
facette comm"o libbro galeotto
'e 'onna Francesca e Paolo Malatesta.

Benedicenno nzieme chella secchia,
s'astrignèttero forte. Erano sule:
essa Ile regalaje na pellecchia,
isso Ile regalaje dduie fasule.

Chiano, sciulianno dint'a ll'acqua 'alice,
cu nu curteo 'e muschille int"o sentiero,
sotto 'o sole, 'a cacata 'e stiratrice
se mrnaretaje c"o strunzo d"o pumpiero.

E in viaggio 'e nozze stetteno abbracciate
mmiez'a dduie piezze 'e càntere scassate.


di Ferdinando Russo
(Napoli, 25.11.1866 - 30.01.1927)

Il Pulcino Ballerino

Dall'uovo gobbo
di una gallina zoppa
nacque un pulcino
che zoppicava un po'.

Sembrava triste
perciò la mamma chioccia
per consolarlo
l'hully gully gli insegnò

Per l'hully gully
di quel pulcino zoppo
grilli e cicale
facevan cri cri cri.

Il babbo gallo
scoppiava dalla gioia
e nel pollaio
una festa organizzò

Rit.
Ticche, tocche, ticche, tocche,
il pulcino dopo un po'
ticche, tocche, ticche, tocche,
a ballare incominciò.

Tre galletti verdi e gialli,
professori d'hully gully
il pulcino ballerino
salutarono così:
chicchirichì...

Chicchirichì...
Chicchirichì...



(nella foto io che canto Il pulcino ballerino, durante la selezione per lo Zecchino d'oro, che ho vinto per la Lombardia)

Omero - Odissea

Giunti al divino mare, il negro legno
Prima varammo, albero ergemmo e vele,
E prendemmo le vittime, e nel cavo
Legno le introducemmo: indi con molto
Terrore e pianto v’entravam noi stessi.5
La dal crin crespo e dal canoro labbro
Dea veneranda un gonfiator di vela
Vento in poppa mandò, che fedelmente
Ci accompagnava per l’ondosa via;
Tal che ozïosi nella ratta nave10
Dalla cerulea prua, giacean gli arnesi,
E noi tranquilli sedevam, la cura
Al timonier lasciandone ed al vento.
Quanto il dì risplendé, con vele sparse
Navigavamo. Spento il giorno, e d’ombra15
Ricoperte le vie, dell’Oceano
Toccò la nave i gelidi confini,
Là ’ve la gente de’ Cimmerî alberga,
Cui nebbia e buio sempiterno involve.
Monti pel cielo stelleggiato, o scenda20
Lo sfavillante d’ôr sole non guarda
Quegl’infelici popoli, che trista
Circonda ognor pernizïosa notte.

Addotto in su l’arena il buon naviglio,
E il monto e la pecora sbarcati,25
Alla corrente dell’Oceano in riva
Camminavam; finché venimmo ai lochi
Che la dea c’insegnò. Quivi per mano
Eurìloco teneano e Perimede
Le due vittime; ed io, fuor tratto il brando,30
Scavai la fossa cubitale, e mele
Con vino, indi vin puro e lucid’onda
Versàivi, a onor de’ trapassati, intorno
E di bianche farine il tutto aspersi.
Poi degli estinti le debili teste35
Pregai, promisi lor che nel mio tetto,
Entrato con la nave in porto appena,
Vacca infeconda, dell’armento fiore,
Lor sagrificherei, di doni il rogo
Rïempiendo; e che al sol Tiresia, e a parte,40
Immolerei nerissimo arïete,
Che della greggia mia pasca il più bello.
Fatte ai mani le preci, ambo afferrai
Le vittime, e sgozzàile in su la fossa,
Che tutto riceveane il sangue oscuro.45
Ed ecco sorger della gente morta
Dal più cupo dell’Erebo, e assembrarsi
Le pallid’ombre: giovanette spose,
Garzoni ignari delle nozze, vecchi
Da nemica fortuna assai versati,50
E verginelle tenere, che impressi
Portano i cuori di recente lutto;
E molti dalle acute aste guerrieri
Nel campo un dì feriti, a cui rosseggia
Sul petto ancor l’insanguinato usbergo.55
Accorrean quinci e quindi, e tanti a tondo
Aggiravan la fossa, e con tai grida,
Ch’io ne gelai per subitana tema.
Pure a Eurìloco ingiunsi, e a Periméde
Le già scannate vittime e scoiate60
Por su la fiamma, e molti ai dèi far voti,
Al prepotente Pluto e alla tremenda
Proserpina: ma io col brando ignudo
Sedea, né consentia che al vivo sangue,
Pria ch’io Tiresia interrogato avessi,65
S’accostasser dell’ombre i vôti capi.

Primo ad offrirsi a me fu il simulacro
D’Elpènore, di cui non rinchiudea
La terra il corpo nel suo grembo ancora.
Lasciato in casa l’avevam di Circe70
Non sepolto cadavere e non pianto.
Che incalzavaci allor diversa cura.
Piansi a vederlo, e ne sentii pietade,
E, con alate voci a lui converso:
"Elpènore", diss’io, "come scendesti75
Nell’oscura caligine? Venisti
Più ratto a piè, ch’io su la negra nave".

Ed ei, piangendo: "O di Laerte egregia
Prole, sagace Ulisse, un nequitoso
Demone avverso, e il molto vin m’offese.80
Stretto dal sonno alla magione in cima,
Men disciolsi ad un tratto: e, per la lunga
Di calar non membrando interna scala
Mossi di punta sovra il tetto, e d’alto
Precipitai: della cervice i nodi85
Ruppersi, ed io volai qua con lo spirto.
Ora io per quelli da cui lunge vivi,
Per la consorte tua, pel vecchio padre,
Che a tanta cura t’allevò bambino,
Pel giovane Telemaco, che dolce90
Nella casa lasciasti unico germe,
Ti prego, quando io so, che alla Circea
Isola il legno arriverai di nuovo,
Ti prego che di me, signor mio, vogli
Là ricordarti, onde io non resti, come95
Della partenza spiegherai le vele,
Senza lagrime addietro e senza tomba,
E tu venghi per questo ai numi in ira.
Ma con quell’armi, ch’io vestìa, sul foco
Mi poni, e in riva del canuto mare100
A un misero guerrier tumulo innalza,
Di cui favelli la ventura etade.
Queste cose m’adempi; ed il buon remo,
Ch’io tra i compagni miei, mentre vivea
Solea trattar, sul mio sepolcro infiggi.105

"Sventurato", io risposi, "a pien fornita
Sarà, non dubitarne, ogni tua voglia".

Così noi sedevam, meste parole
Parlando alternamente, io con la spada
Sul vivo sangue ognora, e a me di contra110
La forma lieve del compagno, a cui
Suggerìa molti accenti il suo disastro.
Comparve in questo dell’antica madre
L’ombra sottile, d’Anticlèa, che nacque
Dal magnanimo Autolico, e a quel tempo115
Era tra i vivi ch’io per Troia sciolsi.
La vidi appena, che pietà mi strinse,
E il lagrimar non tenni: ma né a lei,
Quantunque men dolesse, io permettea
Al sangue atro appressar, se il vate prima120
Favellar non s’udìa. Levossi al fine
Con l’aureo scettro nella man famosa
L’alma Tebana di Tiresia, e ratto
Mi riconobbe, e disse: "Uomo infelice,
Perché, del sole abbandonati i raggi,125
Le dimore inamabili de’ morti
Scendesti a visitar? Da questa fossa
Ti scosta, e torci in altra parte il brando,
Sì ch’io beva del sangue, e il ver ti narri".

Il piè ritrassi, e invaginai l’acuto130
D’argentee borchie tempestato brando.
Ma ei, poiché bevuto ebbe, in tal guisa
Movea le labbra: "Rinomato Ulisse,
Tu alla dolcezza del ritorno aneli
E un nume invidïoso il ti contende135
Come celarti da Nettun, che grave
Contra te concepì sdegno nel petto
Pel figlio, a cui spegnesti in fronte l’occhio?
Pur, sebbene a gran pena, Itaca avrai,
Sol che te stesso e i tuoi compagni affreni,140
Quando, tutti del mar vinti i perigli,
Approderai col ben formato legno
Alla verde Trinacria isola, in cui
Pascon del Sol, che tutto vede ed ode,
I nitidi montoni e i buoi lucenti.145
Se pasceranno illesi, e a voi non caglia
Che della patria, il rivederla dato,
Benché a stento, vi fia. Ma dove osiate
Lana o corno toccargli, eccidio a’ tuoi,
E alla nave io predico, ed a te stesso.150
E ancor che morte tu schivassi, tardo
Fora, ed infausto, e senza un sol compagno,
E su nave straniera, il tuo ritorno.
Mali oltra ciò t’aspetteranno a casa:
Protervo stuol di giovani orgogliosi,155
Che ti spolpa, ti mangia, e alla divina
Moglie con doni aspira. È ver che a lungo
Non rimarrai senza vendetta. Uccisi
Dunque o per frode, o alla più chiara luce,
Nel tuo palagio i temerarî amanti,160
Prendi un ben fatto remo, e in via ti metti:
Né rattenere il piè, che ad una nuova
Gente non sii, che non conosce il mare,
Né cosperse di sal vivande gusta,
Né delle navi dalle rosse guance,165
O de’ politi remi, ali di nave,
Notizia vanta. Un manifesto segno
D’esser nella contrada io ti prometto.
Quel dì che un altro pellegrino, a cui
T’abbatterai per via, te quell’arnese170
Con che al vento su l’aia il gran si sparge
Portar dirà su la gagliarda spalla,
Tu repente nel suol conficca il remo.
Poi, vittime perfette a re Nettuno
Svenate, un toro, un arïete, un verro,175
Riedi, e del cielo agli abitanti tutti
Con l’ordine dovuto offri ecatombe
Nella tua reggia, ove a te fuor del mare,
E a poco a poco da muta vecchiezza
Mollemente consunto, una cortese180
Sopravverrà morte tranquilla, mentre
Felici intorno i popoli vivranno.
L’oracol mio, che non t’inganna, è questo.

"Tiresia", io rispondea, "così prescritto
(Chi dubbiar ne potrebbe?) hanno i celesti.185
Ma ciò narrami ancora: io della madre
L’anima scorgo, che tacente siede
Appo la cava fossa, e d’uno sguardo,
Non che d’un motto, il suo figliuol non degna.
Che far degg’io, perché mi riconosca?190
Ed egli: Troppo bene io nella mente
Io ti porrò. Quai degli spirti al sangue
Non difeso da te giunger potranno,
Sciorran parole non bugiarde: gli altri
Da te si ritrarran taciti indietro".195
Svelate a me tai cose, in seno a Dite
Del profetante re l’alma s’immerse.

Ma io di là non mi togliea. La madre
S’accostò intanto, né del negro sangue
Prima bevé, che ravvisommi, e queste200
Mi drizzò, lagrimando, alate voci:
"Deh come, figliuol mio, scendéstu vivo
Sotto l’atra caligine? Chi vive,
Difficilmente questi alberghi mira,
Però che vasti fiumi e paurose205
Correnti ci dividono, e il temuto
Ocean, cui varcare ad uom non lice,
Se nol trasporta una dedalea nave.
Forse da Troia, e dopo molti errori,
Con la nave e i compagni a questo buio210
Tu vieni? Né trovar sapesti ancora
Itaca tua? né della tua consorte
Riveder nel palagio il caro volto? "

"O madre mia, necessità", risposi,
"L’alma indovina a interrogar m’addusse215
Del Tebano Tiresia. Il suolo acheo
Non vidi ancor, né i liti nostri attinsi;
Ma vo ramingo, e dalle cure oppresso,
Dappoi che a Troia ne’ puledri bella
Seguìi, per disertarla, il primo Atride.220
Su via, mi narra, e schiettamente, come
Te la di lunghi sonni apportatrice
Parca domò. Ti vinse un lungo morbo,
O te Dïana faretrata assalse
Con improvvisa non amara freccia?225
Vive l’antico padre, il figlio vive,
Che in Itaca io lasciai? Nelle man loro
Resta, o passò ad altrui la mia ricchezza,
E ch’io non rieda più, si fa ragione?
E la consorte mia qual cor, qual mente230
Serba? Dimora col fanciullo, e tutto
Gelosamente custodisce, o alcuno
Tra i primi degli Achei forse impalmolla? "

Riprese allor la veneranda madre:
"La moglie tua non lasciò mai la soglia235
Del tuo palagio; e lentamente a lei
Scorron nel pianto i dì, scorron le notti.
Stranier nel tuo retaggio, in sin ch’io vissi,
Non entrò: il figlio su i paterni campi
Vigila in pace, e alle più illustri mense,240
Cui l’invita ciascuno, e che non dee
Chi nacque al regno dispregiar, s’asside.
Ma in villa i dì passa Laerte, e mai
A cittade non vien: colà non letti,
Non coltri, o strati sontuosi, o manti.245
Di vestimenta ignobili coverto
Dorme tra i servi al focolare il verno
Su la pallida cenere: e se torna
L’arida estate, o il verdeggiante autunno,
Lettucci umìli di raccolte foglie,250
Stesi a lui qua e là per la feconda
Sua vigna, preme travagliato, e il duolo
Nutre, piangendo la tua sorte: arrogi,
La vecchiezza increscevole che il colse.
Non altrimenti de’ miei stanchi giorni255
Giunse il termine a me, cui non Dïana,
Sagittaria infallibile, di un sordo
Quadrello assalse, o di que’ morbi invase,
Che soglion trar delle consunte membra
L’anima fuor con odïosa tabe:260
Ma il desìo di vederti, ma l’affanno
Della tua lontananza, ma i gentili
Modi e costumi tuoi, nobile Ulisse,
La vita un dì sì dolce hannomi tolta".

Io, pensando tra me, l’estinta madre265
Volea stringermi al sen: tre volte corsi,
Quale il mio cor mi sospingea, vêr lei,
E tre volte m’usci fuor delle braccia,
Come nebbia sottile, o lieve sogno.
Cura più acerba mi trafisse e ratto:270
"Ahi, madre", le diss’io, "perché mi sfuggi
D’abbracciarti bramoso, onde, anco a Dite,
Le man gittando l’un dell’altro al collo,
Di duol ci satolliamo ambi, e di pianto?
Fantasma vano, acciò più sempre io m’anga,275
Forse l’alta Proserpina mandommi?"

"O degli uomini tutti il più infelice",
La veneranda genitrice aggiunse,
"No, l’egregia Proserpina, di Giove
La figlia, non t’inganna. È de’ mortali280
Tale il destin, dacché non son più in vita,
Che i muscoli tra sé, l’ossa ed i nervi
Non si congiungan più: tutto consuma
La gran possanza dell’ardente foco,
Come prima le bianche ossa abbandona,285
E vagola per l’aere il nudo spirto.
Ma tu d’uscire alla superna luce
Da questo buio affretta: e ciò che udisti,
E porterai nell’anima scolpito,
Penelope da te risappia un giorno".290

Mentre così favellavam, sospinte
Dall’inclita Proserpina le figlie
Degli eroi comparïano, e le consorti
E traean della fossa al margo in folla.
Io, come interrogarle ad una ad una295
Rivolgea meco; e ciò mi parve il meglio.
Stretta la spada, non patïa che tutte
Beessero ad un tempo. Alla sua volta
Così accorrea ciascuna, e l’onorato
Lignaggio ed i suoi casi a me narrava.300

Prima s’appresentò l’illustre Tiro,
Che, del gran Salmonèo figlia, e consorte
Di Creteo, un de’ figliuoli d’Eolo, sé disse.
Costei d’un fiume nell’amore accesa,
Dell’Enipèo divin, che la più bella305
Sovra i più ameni campi onda rivolve,
Spesso e bagnarsi in quegli argenti entrava.
L’azzurro nume che la terra cinge,
Nettuno, in forma di quel dio, corcossi
Delle sue vorticose acque alla foce;310
E la porporeggiante onda d’intorno
Gli stette, e in un arco si piegò, qual monte,
Lui celando, e la giovane, cui tosto
Sciols’ei la zona virginale, e un casto
Sopore infuse. Indi per man la prese,315
E chiamolla per nome, e tai parole
Le feo: "Di questo amor, donna, t’allegra.
Compiuto non avrà l’anno il suo giro,
Che diverrai di bei fanciulli madre,
Quando vane giammai degl’immortali320
Non riescon le nozze. I bei fanciulli
Prendi in cura, e nutrisci. Or vanne, e sappi,
Ma il sappi sola, che tu in me vedesti
Nettuno, il nume che la terra scuote".
Disse; e ne’ gorghi suoi l’accolse il mare.325

Ella di Nèleo e Pèlia, ond’era grave,
S’allevïò. Forti del sommo Giove
Ministri, l’un nell’arenosa Pilo,
Nell’ampia l’altro, e di feconde gregge
Ricca Iaolco, ebbe soggiorno e scettro.330
Quindi altra prole, Esòn, Ferete, e il chiaro
Domator di cavalli Amitaòne,
Diede a Creteo costei, che delle donne
Reina parve alla sembianza e agli atti.

Poi d’Asòpo la figlia, Antiopa, venne,335
Che dell’amor di Giove andò superba,
E due figli creò, Zeto e Anfione.
Tebe costoro dalle sette porte
Primi fondaro, e la munir di torri:
Ché mal potean la spazïosa Tebe340
Senza torri guardar, benché gagliardi.

Venne d’Amfitrïon la moglie, Alcmena
Che al Saturnìde l’animoso Alcide,
Cor di leone, partorì. Megàra
Di Creonte magnanimo figliuola345
E moglie dell’invitto Ercole, venne.

D’Edipo ancor la genitrice io vidi,
La leggiadra Epicasta, che nefanda
Per cecità di mente opra commise,
L’uom disposando da lei nato. Edìpo350
La man, con che avea prima il padre ucciso,
Porse alla madre: né celaro i dèi
Tal misfatto alle genti. Ei per crudele
Voler de’ numi nell’amena Tebe
Addolorato su i Cadmei regnava.355
Ma la donna, cui vinse il proprio affanno,
L’infame nodo ad un’eccelsa trave
Legato, scese alla magion di Pluto
Dalle porte infrangibili, e tormenti
Lasciò indietro al figliuol, quanti ne danno360
Le ultrici Furie, che una madre invoca.

Vidi colei non men, che ultima nacque
All’Iaside Anfïón, cui l’arenosa
Pilo negli anni andati, e il Minïeo
Orcomeno ubbidìa, l’egregia Clori,365
Che Neleo, di lei preso, a sé congiunse,
Poscia ch’egli ebbe di dotali doni
La vergine ricolma. Ed ella il feo
Ricco di vaga e di lui degna prole,
Di Nestore, di Cromio, e dell’eroe370
Periclimeno; e poi di quella Pero,
Che maraviglia fu d’ogni mortale.
Tutti i vicini la chiedean; ma il padre
Sol concedeala a chi le belle vacche
Dalla lunata spazïosa fronte,375
Che appo sé riteneasi il forte Ificle,
Gli rimenasse, non leggiera impresa,
Dai pascoli di Filaca. L’impresa
Melampo assunse, un indovino illustre;
Se non che a lui s’attraversaro i fati,380
E pastori salvatichi, da cui
Soffrir dové d’aspre catene il pondo.
Ma non prima, già in sé rivolto l’anno,
I mesi succedettersi ed i giorni,
E compiêr le stagioni il corso usato385
Che Ifìcle, a cui gli oracoli de’ numi
Svelati avea l’irreprensibil vate,
I suoi vincoli ruppe; e così al tempo
L’alto di Giove s’adempiea consiglio.
Leda comparve, da cui Tindaro ebbe390
Due figli alteri, Castore e Pollùce,
L’un di cavalli domatore, e l’altro
Pugile invitto. Benché l’alma terra
Ritengali nel sen, di vita un germe
(Così Giove tra l’Ombre anco gli onora)395
Serbano: ciascun giorno, e alternamente,
Rïapron gli occhi, e chiudonli alla luce,
E glorïosi al par van degli eterni.

Dopo costei mi si parò davanti
D’Aloèo la consorte, Ifimidèa;400
Cui di dolce d’amor nodo si strinse
Lo Scuotiterra. Ingenerò due figli,
Oto a un dio pari, e l’inclito Efialte,
Che la luce del sol poco fruîro.
Né di statura ugual, né di beltade,405
Altri nodrì la comun madre antica,
Sol che fra tutti d’Orïon si taccia.
Non avean tocco il decim’anno ancora,
Che in largo nove cubiti, e tre volte
Tanto cresciuti erano in lungo i corpi.410
Questi volendo ai sommi dèi su l’etra
Nuova portar sediziosa guerra,
L’Ossa sovra l’Olimpo, e sovra l’Ossa
L’arborifero Pelio impor tentaro,
Onde il cielo scalar di monte in monte;415
E il fean, se i volti pubertà infiorava;
Ma di Giove il figliuolo, e di Latona,
Sterminolli ambo, che del primo pelo
Le guance non ombravano, ed il mento.

Fedra comparve ancor, Procri ed Arianna420
Che l’amante Teseo rapì da Creta,
E al suol fecondo della sacra Atene
Condur volea. Vane speranze! In Nasso,
Cui cinge un vasto mar, fu da Dïana,
Per l’indizio di Bacco, aggiunta e morta.425

Né restò Mera inosservata indietro,
Né Climene restò, né l’abborrita
Erifile, che il suo diletto sposo
Per un aureo monil vender poteo.
Ma dove io tutte degli eroi le apparse430
Figlie nomar volessi, e le consorti,
Pria mancherìami la divina Notte.
E a me par tempo da posar la testa
O in nave o qui, tutta del mio ritorno
Ai celesti lasciando, e a voi la cura.435
Tacque. I Feaci per l’oscura sala
Stavansi muti, e nel piacere assorti.

Ruppe il silenzio l’immortal regina
La bracciobianca Arete: "Feacesi,
Che vi par di costui? del suo sembiante?440
Della maschia persona? e di quel senno
Che in lui risiede? Ospite è mio, ma tutti
Dell’onor, che io ricevo, a parte siete.
Non congedate in fretta, e senza doni
Chi nulla tien, voi, che di buono in casa445
Per favor degli dèi tanto serbate".

Qui favellò Echenèo, che gli altri tutti
Vincea d’etade: "Fuor del segno, amici,
Arete non colpì con la sua voce.
Obbediscasi a lei: se non che prima450
Del re l’esempio attenderemo e il detto".

"Ciò sarà ch’ella vuole", Alcinoo disse
"Se vita e scettro a me lascian gli dèi.
Ma, benché tanto di partir gli tardi,
L’ospite indugi sino al nuovo sole,455
Sì ch’io tutti i regali insieme accoglia.
Cura esser dee comun che lieto ei parta
E più, che d’altri, mia, s’io qui son primo".

"Alcinoo re, che di grandezza e fama",
Riprese Ulisse, "ogni mortale avanzi,460
Sei mesi ancor mi riteneste e sei,
E fida scorta intanto e ricchi doni
M’apparecchiaste, io non dovrei sgradirlo:
Ché quanto io tornerò con man più piene
A’ miei sassi natii, tanto la gente465
Con più onore accorrammi e con più affetto".

Ed Alcinoo in risposta: "Allora, Ulisse
Che ti adocchiamo, un impostor fallace,
D’alte menzogne inaspettato fabbro,
Scorger non sospettiam, quali benigna470
La terra qua e là molti ne pasce.
Leggiadria di parole i labbri t’orna,
Né prudenza minor t’alberga in petto.
L’opre de’ Greci e le tue doglie, quasi
Lo spirto della Musa in te piovesse,475
Ci narrasti così, ch’era un vederle.
Deh siegui, e dimmi, se t’apparve alcuno
Di tanti eroi che veleggiâro a Troia
Teco, e spenti rimaservi. La notte
Con lenti passi or per lo ciel cammina,480
E finché ci esporrai stupende cose,
Non fia chi del dormir qui si rammenti.
Quando parlar di te sino all’aurora
Ti consentisse il duol sino all’aurora
Io penderei dalle tue labbra immoto".485

"V’ha un tempo Alcinoo, di racconti ed havvi",
Ulisse ripigliò, "di sonni un tempo;
Che se udir vuoi più avanti, io non ricuso
La sorte di color molto più dura
Rappresentarti, che scampâr dai rischi490
D’una terribil guerra, e nel ritorno,
Colpa d’una rea donna, ohimé! periro.

Poiché le femminili Ombre famose
La casta Proserpìna ebbe disperse,
Mesto, e cinto da quei che fato uguale495
Trovâr d’Egisto negl’infidi alberghi,
Si levò d’Agamennone il fantasma.
Assaggiò appena dell’oscuro sangue,
Che ravvisommi; e dalle tristi ciglia
Versava in copia lagrime, e le mani500
Mi stendea, di toccarmi invan bramose;
Ché quel vigor, quella possanza, ch’era
Nelle sue membra ubbidïenti ed atte,
Derelitto l’avea. Lagrime anch’io
Sparsi a vederlo, e intenerìi nell’alma,505
E tai voci, nomandolo, gli volsi:
"O inclito d’Atrèo figlio, o de’ prodi
re, Agamennòne, qual destin ti vinse,
E i lunghi t’arrecò sonni di morte?
Nettuno in mar ti domò forse, i fieri510
Spirti eccitando de’ crudeli venti?
O t’offesero in terra uomini ostili,
Che armenti depredavi e pingui greggi.
O delle patrie mura, e delle caste
Donne a difesa, roteavi il brando? "515

"Laerziade preclaro, accorto Ulisse"
Ratto rispose dell’Atride l’ombra
Me non domò Nettuno all’onde sopra,
Né m’offesero in terra uomini ostili.
Egisto, ordita con la mia perversa520
Donna una frode, a sé invitommi, e a mensa
Come alle greppie inconsapevol bue,
L’empio mi trucidò. Così morìi
Di morte infelicissima; e non lunge
Gli amici mi cadean, quai per illustri525
Nozze, o banchetto sontuoso, o lauta
A dispendio comun mensa imbandita,
Cadono i verri dalle bianche sanne.
Benché molti a’ tuoi giorni o in folta pugna;
Vedessi estinti, o in singolar certame,530
Non solita pietà tocco t’avrebbe,
Noi mirando, che stesi all’ospitali
Coppe intorno eravam, mentre correa
Purpureo sangue il pavimento tutto.
La dolente io sentìi voce pietosa535
Della figlia di Priamo, di Cassandra,
Cui Clitennestra m’uccidea da presso,
La moglie iniqua; ed io, giacendo a terra,
Con moribonda man cercava il brando:
Ma la sfrontata si rivolse altrove,540
Né gli occhi a me, che già scendea tra l’Ombre
Chiudere, né compor degnò le labbra.
No: più rea peste, più crudel non dassi
Di donna, che sì atroci opre commetta,
Come questa infedel, che il danno estremo545
Tramò, cui s’era vergine congiunta.
Lasso! dove io credea che, ritornando,
Figliuoli e servi m’accorrìan con festa,
Costei, che tutta del peccar sa l’arte,
Si ricoprì d’infamia, e quante al mondo550
Verranno, e le più oneste anco, ne asperse".

"Oh quanta", io ripigliai, "sovra gli Atridi
Le femmine attirâro ira di Giove!
Fu di molti de’ Greci Elena strage!
E a te, cogliendo l’assenza il tempo,555
Funesta rete Clitennestra tese".

"Quindi troppa tu stesso", ei rispondea,
"Con la tua donna non usar dolcezza,
Né il tutto a lei svelar, ma parte narra
De’ tuoi secreti a lei, parte ne taci,560
Benché a te dalla tua venir disastro
Non debba: ché Penelope, la saggia
Figlia d’Icario, altri consigli ha in core.
Moglie ancor giovinetta, e con un bimbo,
Che dalla mamma le pendea contento,565
Tu la lasciavi, navigando a Troia:
Ed oggi il tuo Telemaco felice
Già s’asside uom tra gli uomini, e il diletto
Padre lui vedrà, un giorno, ed egli al padre
Giusti baci porrà sovra la fronte.570
Ma la consorte mia né questo almeno
Mi consentì, ch’io satollassi gli occhi
Nel volto del mio figlio, e pria mi spense.
Credi al fine a’ miei detti, e ciò nel fondo
Serba del petto: le native spiagge575
Secretamente afferra, e a tutti ignoto,
Quando fidar più non si puote in donna.
Or ciò mi conta, e schiettamente: udisti,
Dove questo mio figlio i giorni tragga?
In Orcomeno forse? O forse tienlo580
Pilo arenosa, o la capace Sparta
Presso re Menelao? Certo non venne
Finor sotterra il mio gentil Oreste".

Ed io: "Perché di ciò domandi, Atride,
Me, cui né conto è pur se Oreste spira585
Le dolci aure di sopra, o qui soggiorna?
Lode non merta il favellare al vento".

Così parlando alternamente, e il volto
Di lagrime rigando, e il suol di Dite,
Ce ne stavam disconsolati: ed ecco590
Sorger lo spirto del Pelìade Achille,
Di Patroclo, d’Antìloco e d’Aiace,
Che gli Achei tutti, se il Pelìde togli,
Di corpo superava e di sembiante.
Mi riconobbe del veloce al corso595
Eacide l’imago; e, lamentando:
O, disse, di Laerte inclita prole,
Qual nuova in mente, sciagurato, volgi
Macchina, che ad ogni altra il pregio scemi?
Come osasti calar ne’ foschi regni,600
Degli estinti magion, che altro non sono
Che aeree forme e simulacri ignudi? "

"Di Peleo", io rispondea, "figlio, da cui
Tanto spazio rimase ogni altro Greco,
Tiresia io scesi a interrogar, che l’arte605
Di prender m’insegnasse Itaca alpestre
Sempre involto ne’ guai, l’Acaica terra
Non vidi ancor, né il patrio lido attinsi.
Ma di te, forte Achille, uom più beato
Non fu, né giammai fia. Vivo d’un nume610
T’onoravamo al pari, ed or tu regni
Sovra i defunti. Puoi tristarti morto?"

"Non consolarmi della morte", a Ulisse
Replicava il Pelìde. "Io pria torrei
Servir bifolco per mercede, a cui615
Scarso e vil cibo difendesse i giorni,
Che del Mondo defunto aver l’impero.
Su via, ciò lascia, e del mio figlio illustre
Parlami in vece. Nelle ardenti pugne
Corre tra i primi avanti? E di Pelèo620
Del mio gran genitor, nulla sapesti?
Sieguon fedeli a reverirlo i molti
Mirmìdoni, o nell’Ellada ed in Ftia
Spregiato vive per la troppa etade,
Che le membra gli agghiaccia? Ahi! che guardarlo625
Sotto i raggi del Sol più non mi lice:
Ché passò il tempo che la Troica sabbia
D’esanimi io covrìa corpi famosi,
Proteggendo gli Achei. S’io con la forza
Che a que’ giorni era in me, toccar potessi630
Per un istante la paterna soglia,
A chïunque oltraggiarlo, e degli onori
Fraudarlo ardisse, questa invitta mano
Metterebbe nel core alto spavento.

Nulla, io risposi, di Pelèo, ma tutto635
Del figliuol posso, e fedelmente, dirti,
Di Neottolemo tuo, che all’oste Achiva
Io stesso sopra cava e d’uguai fianchi
Munita nave rimenai da Sciro.
Sempre che ad Ilio tenevam consulte,640
Primo egli a favellar s’alzava in piedi,
Né mai dal punto devïava; soli
Gareggiavam con lui Nestore ed io.
Ma dove l’armi si prendean, confuso
Già non restava in fra la turba, e ignoto:645
Precorrea tutti, e di gran lunga, e intere
Le falangi struggea. Quant’ei mandasse
Propugnacol de’ Greci, anime all’Orco,
Da me non t’aspettare. Abbiti solo,
Che il Telefìde Eurìpilo trafisse650
Fra i suoi Cetèi, che gli morìano intorno;
Euripilo di Troia ai sacri muri
Per la impromessa man d’una del rege
Figlia venuto, ed in quell’oste intera,
Dopo il deiforme Mènnone, il più bello.655
Che del giorno dirò, che il fior de’ Greci
Nel costrutto da Epèo cavallo salse,
Che in cura ebb’io, poiché a mia voglia solo
Aprìasi, o rinchiudeasi, il cavo agguato?
Tergeansi capi e condottier con mano660
Le umide ciglia, e le ginocchia sotto
Tremavano a ciascun; né bagnare una
Lagrima a lui, né di pallore un’ombra
Tingere io vidi la leggiadra guancia.
Bensì prieghi porgeami onde calarsi665
Giù del cavallo, e della lunga spada
Palpeggiava il grand’else, e l’asta grave
Crollava, mali divisando a Troia
Poi la cittade incenerita, in nave
Delle spoglie più belle adorno e carco670
Montava, e illeso: quando lunge, o presso,
Di spada, o stral, non fu giammai chi vanto
Del ferito Neottòlemo si desse".

Dissi, e d’Achille alle veloci piante
Per li prati d’asfodelo vestiti675
L’alma da me sen giva a lunghi passi,
Lieta, che udì del figliuol suo la lode.

D’altri guerrieri le sembianze tristi
Compariano; e ciascun suoi guai narrava.
Sol dello spento Telamonio Aiace680
Stava in disparte il disdegnoso spirto
Perché vinto da me nella contesa
Dell’armi del Pelide appo le navi.
Teti, la madre veneranda, in mezzo
Le pose, e giudicaro i Teucri e Palla.685
Oh côlta mai non avess’io tal palma,
Se l’alma terra nel suo vasto grembo
Celar dovea sì glorïosa testa,
Aiace, a cui d’aspetto e d’opre illustri,
Salvo l’irreprensibile Pelìde690
Non fu tra i Greci chi agguagliarsi osasse!
Io con blande parole: "Aiace", dissi,
"Figlio del sommo Telamon, gli sdegni
Per quelle maledette arme concetti
Dunque né morto spoglierai? Fatali695
Certo reser gli dèi quell’arme ai Greci,
Che in te perdero una sì ferma torre.
Noi per te nulla men, che per Achille,
Dolenti andiam; né alcuno n’è in colpa, il credi:
Ma Giove, che infinito ai bellicosi700
Danai odio porta, la tua morte volle.
Su via, t’accosta, o re, porgi cortese
L’orecchio alle mie voci, e la soverchia
Forza del generoso animo doma".

Nulla egli a ciò: ma, ritraendo il piede,705
Fra l’altre degli estinti Ombre si mise:
Pur, seguendolo io quivi, una risposta
Forse data ei m’avrìa; se non che voglia
Altro di rimirar m’ardea nel petto.

Minosse io vidi, del Saturnio il chiaro710
Figliuol, che assiso in trono, e un aureo scettro
Stringendo in man, tenea ragione all’ombre
Che tutte, qual seduta e quale in piedi,
Conti di sé rendeangli entro l’oscura
Di Pluto casa dalle larghe porte.715

Vidi il grande Orïòn, che delle fiere,
Che uccise un dì sovra i boscosi monti,
Or gli spettri seguìa de’ prati inferni
Per l’asfodelo in caccia; e maneggiava
Perpetua mazza d’infrangibil rame.720

Ecco poi Tizio, della Terra figlio,
Che sforzar non temé l’alma di Giove
Sposa, Latona, che volgeasi a Pito
Per le ridenti Panopèe campagne.
Sul terren distendevasi, e ingombrava725
Quando in dì nove ara di tauri un giogo:
E due avvoltoi, l’un quinci, e l’altro quindi,
Ch’ei con mano scacciar tentava indarno
rodeangli il cor, sempre ficcando addentro
Nelle fibre rinate il curvo rostro.730

Stava là presso con acerba pena
Tantalo in piedi entro un argenteo lago,
La cui bell’onda gli toccava il mento.
Sitibondo mostravasi, e una stilla
Non ne potea gustar: ché quante volte735
Chinava il veglio le bramose labbra,
Tante l’onda fuggìa dal fondo assorta,
Sì che apparìagli ai piè solo una bruna
Da un Genio avverso inaridita terra.
Piante superbe, il melagrano, il pero,740
E di lucide poma il melo adorno,
E il dolce fico, e la canuta oliva,
Gli piegavan sul capo i carchi rami;
E in quel ch’egli stendea dritto la destra
Vêr le nubi lanciava i rami il vento.745

Sìsifo altrove smisurato sasso
Tra l’una e l’altra man portava, e doglia
Pungealo inenarrabile. Costui
La gran pietra alla cima alta d’un monte,
Urtando con le man, coi piè pontando,750
Spingea: ma giunto in sul ciglion non era,
Che, risospinta da un poter supremo,
Rotolavasi rapida pel chino
Sino alla valle la pesante massa.
Ei nuovamente di tutta sua forza755
Su la cacciava: dalle membra a gronde
Il sudore colavagli, e perenne
Dal capo gli salìa di polve un nembo.

D’Ercole mi s’offerse al fin la possa,
Anzi il fantasma: però ch’ei de’ numi760
Giocondasi alla mensa e cara sposa
Gli siede accanto la dal piè leggiadro
Ebe, di Giove figlia e di Giunone,
Che muta il passo, coturnata d’oro.
Schiamazzavan gli spirti a lui d’intorno,765
Come volanti augei da subitana
Tema compresi; ed ei fosco, qual notte,
Con l’arco in mano, e con lo stral sul nervo,
Ed in atto ad ognor di chi saetta,
Orrendamente qua e là guatava.770
Ma il petto attraversavagli una larga
D’ôr cintura terribile, su cui
Storïate vedeansi opre ammirande,
Orsi, cinghiai feroci e leon torvi,
E pugne, e stragi, e sanguinose morti;775
Cintura, a cui l’eguale, o prima o dopo,
Non fabbricò, qual che si fosse, il mastro.
Mi sguardò, riconobbemi, e con voce
Lugubre: "O", disse, "di Laerte figlio,
Ulisse accorto, ed infelice a un’ora,780
Certo un crudo t’opprime avverso fato,
Qual sotto i rai del Sole anch’io sostenni.
Figliuol quantunque dell’Egìoco Giove,
Pur, soggetto vivendo ad uom che tanto
Valea manco di me, molto io soffersi.785
Fatiche gravi ei m’addossava, e un tratto
Spedimmi a quinci trarre il can trifauce,
Che la prova di tutte a me più dura
Sembravagli; ed io venni, e quinci il cane
Trifauce trassi ripugnante indarno,790
D’Ermete col favore e di Minerva".
Tacque, e nel più profondo Erebo scese.

Di loco io non moveami, altri aspettando
De’ prodi, che spariro, è omai gran tempo.
E que’ due forse mi sarien comparsi,795
Ch’io più veder bramava, eroi primieri,
Teseo e Piritoo, glorïosa prole
Degl’immortali dèi. Ma un infinito
Popol di spirti con frastuono immenso
Si ragunava; e in quella un improvviso800
Timor m’assalse, non l’orribil testa
Della tremenda Gòrgone la diva
Proserpina invïasse a me dall’Orco.
Dunque senza dimora al cavo legno
Mossi, e ai compagni comandai salirlo,805
E liberar le funi; ed i compagni
Ratto il salìano, e s’assidean su i banchi.
Pria l’aleggiar de’ remi il cavo legno
Mandava innanzi d’Ocean su l’onde:
Poscia quel, che levossi, ottimo vento.810

Libro Undicesimo